Tempo fa, dicevo che scavando, in fondo alla mia anima, ci sono due esprienze musicali fondamentali: una è l’opera di Benjamin Britten, tutta, l’altra è il Don Giovanni di Mozart. Appena sotto, in buona compagnia insieme ad alcune opere di Verdi, al Dido & Aeneas di Purcell e al Rake’s Progress di Stravinsky, a tutto Bellini e a tutto Mahler, sta proprio la Medea (1797) del fiorentino (e poi francesissimo) Luigi Cherubini (1760-1842), su libretto di François-Benoît Hoffmann (1760-1828).
Non ricordo di essermi mai perso, tempo e denaro permettendo, l’occasione di vederne una recita. E, se la prima volta ho visto laMedea allo Chatelet di Parigi (nel 2005) con l’ottima Anna Caterina Antonacci, ho già avuto modo di godere di questa musica aPalermo nell’ottobre del 2007 per ben due sere, proprio con la protagonista di questa registrazione, la bella Chiara Taigi. Dunque, ho preso subito in edicola questo DVD, per altro piuttosto economico (se si pensa ai prezzi dell’opera in video), della serie curata da Enrico Castiglione.
Chiara Taigi, eccellente Gulnara nel Corsaro di Verdi (anche a considerare il confronto con un’indimenticabile Monserrat Caballé), superba Ellen Orford nel Peter Grimes di Britten, è appunto Medea, protagonista di un’opera che, per molti aspetti, mi è parecchio più congeniale della tragedia euripidea a cui dovrebbe ispirarsi. (Ma io sono struttualmente un modernista con studi di filologia classica, non un classicista, quindi non mi stupisce.)
Va detto subito che la cantante ha smentito subito i miei timori a proposito di un’eventuale resa inadeguata (dubbi sorti in un’interpretazione secondo me perfettibile di Amelia nel Ballo in maschera in una celebre produzione video). Chiara Taigi ha confermato non solo di cantare benissimo, di reggere un’opera mostruosamente pesante per la richiesta di presenza scenica e canora, ma anche di avere i colori giusti. Già dalla sua apparizione, è di quel cromatismo, delle ombre, dei cambi di registro e di timbri che ha bisogno il personaggio di Medea. Chiara Taigi è una mattatrice, si impadronisce della scena del teatro di Taormina, sembra divorarlo, senza mai perdere il controllo dello spazio e del suono. Anche a confronto con la passionale e inesauribile voracità di Maria Callas, con la ferocia bronzea della mia Leyla Gencer, l’aurea intonazione di Gwyneth Jones, Chiara Taigi – così legata all’opera contemporanea – rimane Medea, con il suo carattere, il suo personaggio, una sua specifica grandezza.
Il resto del cast non è all’altezza. Se si esclude, infatti, l’eccellente CRDL Dance Company di Mvula A. Sungani, che ha dato ottima prova di sé, e in parte anche il Coro Alessandro Scarlatti, guidato da Fabio Ciulla, i solisti hanno deluso le aspettative. Il Giasone di Carlos Llabrés, oltre a una certa inespressività facciale (ma questo dipende dal fatto che in video si vedono cose che in teatro nessun occhio umano dovrebbe mai vedere), ha mostrato accenti inesatti, un canto qua e là spianato e un po’ ingolato, pur mantenendo fondamentalmente l’intonazione. Mi ha convinto poco anche il Creonte di Francesco Ellero D’Artegna, in particolar modo per il timbro, non proprio felice o adatto al ruolo, e per il suono un po’ forzato. Non esalta neanche la Glauce di Monserrat Martí (nome e cognome tradiscono senza troppe ricerche la genitura di Moserrat Caballé e del marito Bernabé Martí): per quanto sia intonata, canti benissimo e abbia una dizione classica ammirevole, non riesce a emozionare nella splendida aria d’apertura Amor, vieni a me (che amo in modo particolare cantata da Renata Scotto). Discorso analogo si può fare per la Neris di Katia Lytting: educata, corretta (a parte la pronuncia), ma non mi ha emozionato là dove doveva convogliare le lacrime e le emozioni, nell’aria centrale, quella prima della catastrofe, Solo un pianto con me versare.
La regia di Enrico Castiglione ha sfruttato bene il senso dell’ampiezza della scena, popolandolo di danzatori, personaggi e dell’immancabile scalinata. Più difficile il compito del direttore Marco Guidarini, alle prese con un suono che rischia di sfuggire nelle mille fughe del teatro di Taormina. In generale, potrei dire che la sua opera è riuscita, anche se di qualche tempo mi è un po’ sfuggito il senso. Nello specifico, a parte alcune inevitabili sbavature con i cantanti, mi sembra che nella grandiosa architettura del finale, dove classicismo più elegante e un romanticismo non più carsico si incontrano, tutto sia stato un po’ troppo veloce, smussando un po’ l’emozione. D’altra parte, certamente questa edizione nel complesso funziona, in taluni casi davvero bene; la preferisco davvero a un’altra, molto più costosa e pretenziosa, edizione in video.